venerdì, maggio 31

Deutschland ueber Alles (parte seconda)


Caro Lettore,

Tutto il mio percorso di formazione personale è stato accompagnato dallo studio della lingua tedesca, ed ha avuto il suo punto culminante nelle esperienze vissute ad Hannover e Potdsam. Già dopo le prime settimane ad Hannover la mia determinazione ad utilizzare quel soggiorno per imparare il più possibile la lingua e tornare a casa dai miei affetti, fu minata da un tarlo, dalla mia voglia di rompere il cordone ombelicale e di uscire dall’ala protettiva della famiglia, soprattutto di mia madre, che mi esplose addosso e si impossessò di me, senza possibilità di recupero, dando inizio alla mia indipendenza mentale e alla mia maturazione come persona adulta.
Benché passassi la maggior parte del mio tempo con Barbara, parlando quindi Italiano, accadde l’improvviso miracolo, e mi ritrovai d’un botto a capire e soprattutto a parlare in maniera corretta e senza troppi errori un idioma che non era la mia lingua madre. Questo successe principalmente grazie alla nostra frequentazione del corso di tedesco alla Volkshochschule, dove la maggior parte degli alunni, costretti per motivi diversi a trasferirsi in Germania, chi per lavoro, chi per essere fuggito da paesi sotto dittatura o in guerra, aveva dovuto imparare il tedesco per vivere, e anche se non lo aveva studiato, si sapeva esprimere molto meglio di noi.
La lezione non si basava sull’insegnamento delle regole grammaticali o la risoluzione di esercizi di comprensione, ma sulla discussione su un determinato tema, o su di un libro che dovevamo leggere. Il nostro insegnante, Michael, con cui instaurammo un rapporto di amicizia, all'inizio solo per il fatto che parlava perfettamente l’italiano in quando fidanzato con una ragazza di Modena, si rese conto della difficoltà che avevamo io e Barbara, ma riuscì a metterci a nostro agio e cominciammo ad affrontare le discussioni di classe. Inoltre ci introdusse nella sua cerchia di amici, formata da molti stranieri per la maggior parte arabi, soprattutto Iraniani, per cui le nostre occasioni di parlare il tedesco aumentarono vertiginosamente. Lì conoscemmo Hamid, Evelina, Padide, Marcel, ed altri che divennero in poco tempo la nostra compagnia di amici.
In quei cinque mesi in cui io e Barbara rimanemmo ad Hannover, le nostre vite cambiarono decisamente: lei fu lasciata dal suo fidanzato storico ferrarese e dopo un mese di lacrime, si mise insieme a Denis, un ragazzo macedone, amico del nostro insegnante di tedesco, e cominciò con lui una storia che è sfociata in seguito in un matrimonio con tanto di prole. Io invece, mi innamorai perdutamente di Frank Meyer, il figlio della famiglia presso cui vivevamo, e anche se mi resi conto che l’affascinante Frank non ricambiava i miei sentimenti, non mi sentii in grado di proseguire la storia con il mio fidanzato italiano, e mi vidi costretta con molto dolore a lasciarlo. 
In seguito durante una festa con i compagni della Volskhochschule, complice il tasso alcolico elevato, specie per una che non beveva mai, cominciò la mia storia con Svend, un ragazzo danese molto carino e gentile, che però durò poco perché entrambi a Giugno tornammo nei nostri rispettivi paesi.
A settembre del 1994 io e Barbara tornammo ad Hannover per un secondo soggiorno, ma lasciammo la nostra camera dalla famiglia Meyer, e prendemmo in affitto un monolocale. Il primo passo fu la conquista dell’indipendenza economica: certo la Germania era il posto giusto per una studentessa che aveva voglia di imparare la lingua e guadagnare qualche soldo per mantenersi. Infatti, se Barbara ben presto si trasferì a casa del suo ragazzo Denis ed andò a lavorare nel chiosco di bibite e giornali che lui gestiva, io continuai a vivere da sola nel piccolo monolocale della Voltmerstrasse 69, studiando e facendo piccoli lavoretti da studente, per esempio, nella cucina del Metropol, un locale in centro, dove preparavo primi, panini e colazioni, oppure come donna delle pulizie alla fiera di Hannover, dove di sera pulivo lo Stand della Toshiba. Lavoretti con cui però guadagnavo abbastanza per potermi permettere di pagare l’affitto e di vivere decentemente senza chiedere un soldo ai miei. 
A cavallo tra il 1994 e il 1995 conobbi Michael che divenne il mio fidanzato tedesco. Lui aveva otto anni più di me, un ragazzo abituato a vivere da solo da sempre, una persona molto precisa, anzi quasi maniacale in tutte le cose che faceva, ma anche un uomo curioso e stimolante soprattutto dal punto di vista intellettuale, e al quale devo tutto il mio interesse per la storia della letteratura e cultura tedesca contemporanea.
Con lui cominciammo una storia seria, fatta di viaggi e soggiorni miei in Germania e suoi in Italia, lunghi periodi in cui non ci vedevamo, e brevi periodi di convivenza ad Hannover. La storia, durata quasi due anni, con alti e bassi dovuti alla differenza d’età e soprattutto a quella di abitudini e di carattere, finì definitivamente nel maggio del 1996.
La conseguenza positiva di tutta questa faccenda fu che io nel 1995 parlavo il tedesco come l’italiano, superai facilmente gli esami all’università, e avrei fatto di tutto pur di tornare a vivere in Germania dove avevo trovato la mia dimensione.
Per questo motivo, nel settembre di quell’anno feci domanda per ricevere una borsa di studio all’interno del progetto Erasmus, e trascorrere un semestre in un’università tedesca.
Dato che c’erano diversi candidati e sapevo che non sarei stata la prima in graduatoria, misi come prima scelta l’Università di Potsdam, capoluogo della regione tedesca del Brandeburgo, a circa 40 km da Berlino, che mi immaginavo, sia perché era molto più lontana rispetto all’Italia sia perché si trovava nella ex Repubblica Democratica, caduta da pochi anni, non avrebbe riscosso un successo enorme da parte degli altri candidati, al confronto con Monaco o Colonia . Infatti così accadde, io e la mia compagna di studi Antonella, ricevemmo entrambe la borsa di studio e partimmo per Potsdam.
All’inizio tutto fu un po’ sconcertante, a partire dal luogo sperduto dove io e Antonella arrivammo quel giorno di Ottobre del 1995. Anche se l’università afferiva alla città di Potsdam, il campus universitario si trovava nel piccolo paese di Golm, un luogo dimenticato da Dio in mezzo alla campagna. Si trattava di un ex caserma della Stasi, caratterizzata da casermoni rettangolari con i muri in cartongesso, dove su ogni piano si trovavano le camere, i bagni in comune, la cucina in comune e una sala “relax” con due poltrone vecchie e polverose e un televisore spesso non funzionante.
Ma, come si dice, chi si accontenta, gode, infatti dopo lo sconvolgimento iniziale, soprattutto causato dall’utilizzo del bagno dove i cessi, i lavandini e soprattutto la doccia erano in comune tra maschi e femmine, ci abituammo velocemente allo squallore e al disagio e ci organizzammo alla perfezione, così che i casermoni di Golm divennero effettivamente la nostra casa.
Il campus era composto, oltre che dagli edifici che ospitavano le camere degli studenti, dalla sede dell’università con le varie aule e segreterie, la mensa, la biblioteca e la palestra. La frequenza nei giorni feriali era altissima, mentre nel fine settimana il campus si svuotava in quanto i tedeschi tornavano a casa e rimanevano solo gli stranieri.
Durante quei mesi ho approfondito ulteriormente i miei studi, frequentando numerosi lezioni di lingua e letteratura tedesca, fino a ricevere la massima attestazione di conoscenza della lingua tedesca per uno studente straniero. 
Nel campus oltre a me e ad Antonella, c’erano ragazzi provenienti da diversi paesi europei, tra cui Francia, Gran Bretagna, Portogallo, Olanda e Spagna. Il Gruppo degli Italiani era il più numeroso, con studenti provenienti da Toscana, Sardegna, Umbria e Piemonte.
Chiaramente legammo subito più o meno con tutti, specialmente con i toscani con cui si è instaurata un’amicizia forte che dura tutt’ora nonostante siano passati circa 18 anni. Anche se non ci vediamo spesso, io so che su Antonella, Alessio, Angelo, Ilaria, Silvana e Daniela posso contare sempre, perché sono stati la mia famiglia nei mesi trascorsi a Golm. Difficilmente ci si dimentica di aver ricevuto e dato sostegno in tutti i momenti, quelli difficili (come quando Angelo, caduto sul ghiaccio mentre pattinava, fu ricoverato all’ospedale e operato d’urgenza per estrarre un ematoma dal cervello), quelli di gioiosa comunione, soprattutto durante le feste improvvisate, dove ognuno portava una bottiglia, e ubriacarsi era all’ordine del giorno, e quelli in cui c'era da prendere decisioni quotidiane più o meno difficili, in una situazione particolare dove tutti eravamo alla prima esperienza lontano da casa.
Mai nella vita mi scorderò delle nostre feste. Ho ancora in mente scene strazianti, vissute in prima persona, di corpi barcollanti che uscivano da un edificio e sostenendosi a vicenda si recavano fino alle rispettive stanze del campus, che, nonostante in certi giorni, specie d’inverno con il buio e la neve, avesse tutta l’aria di una prigione, si rivelava molto protettivo nei nostri confronti soprattutto in queste situazioni, quando per accompagnare qualcuno a casa era necessario solo attraversare la strada invece che prendere la macchina. Non ti sto a dire quante volte ho partecipato a queste feste e soprattutto quante ne sono uscita senza barcollare, ti basti sapere che, io, che prima di partire per Golm non reggevo nemmeno una bottiglia piccola di birra,  dopo questa esperienza non ho più avuto problemi simili.
Naturalmente in una situazione del genere, sbocciavano amori a tutte le ore, spesso tra persone di paesi diversi. Quando arrivai a Golm stavo con il mio fidanzato tedesco Michael, anche se la nostra storia cominciava un po’ a scricchiolare a causa delle nostre diversità. Nonostante questo io per tutto l’inverno e buona parte della primavera prendevo il treno tutti i fine settimana e mi recavo ad Hannover a trovarlo, con un grosso sforzo sopratutto dal punto di vista economico.
Ma la primavera risvegliò il mio istinto, forse un po’ troppo sopito dall’inverno tedesco. C’era un ragazzo portoghese uno dei primi che avevamo conosciuto appena arrivate. Si chiamava Luis, aveva 20 anni ed era molto simpatico e comunicativo. Per sette mesi ci siamo considerati solo amici, io pensavo ai problemi con Michael e lui invece a portarsi a letto più ragazze tedesche possibile, visto che lui non aveva mai avuto una ragazza prima di allora e le tedesche erano, diciamo così, più spigliate di noi.
Insomma sarà stata la primavera, oppure l’alcol, fatto sta che una sera di maggio durante una festa, ci recammo insieme a prendere una bottiglia di birra al distributore automatico e ci ritrovammo avvinghiati nella stanza della lavanderia. Dopodiché, fatto l'ultimo viaggio ad Hannover per mettere fine alla storia con Michael, iniziò la nostra esperienza di convivenza continuativa per tre mesi, cercando di non pensare al biglietto areo per tornare a casa prenotato per fine luglio. 
Strazianti invece furono gli ultimi istanti passati insieme a Luis, con la consapevolezza che queste condizioni fra di noi non si sarebbero mai più ricreate. Lui sapeva benissimo che i suoi non gli avrebbero mai permesso di allontanarsi da casa ulteriormente, e che la sua vita sarebbe rientrata presto nei binari che la sua famiglia aveva costruito per lui. Infatti dopo poco tempo si fidanzò in casa e si sposò con Raquel.
Da quel fine luglio 1996, ci siamo rivisti due volte, prima quando lui è venuto in Italia con la moglie nel 2003 poi quando sono andata io in Portogallo tre anni fa con mio marito. E lui che oltretutto in poco tempo è ingrassato e diventato quasi calvo, la bruttissima copia del Luis che avevo conosciuto io, per fortuna non ha perso il suo spirito, la sua simpatia e la sua arte comunicativa, che sopravviverà per sempre nel mio ricordo.

Per quanto mi riguarda, il mio soggiorno a Golm non finì quell’estate ma durò fino a fine marzo del 1997, quando fui letteralmente costretta dai miei genitori a tornare in Italia a finire gli studi. In quell’ultimo periodo continuai la mia esperienza di studentessa lavoratrice, facendo la cameriera in una pizzeria italiana in centro a Potsdam, dove riuscii a mettere da parte un bel gruzzoletto sopratutto grazie alla quota che in quanto cameriera mi spettava dalle mance lasciate dai clienti.


Caro Lettore,

non so cosa sarebbe stata la mia vita fin qui se non avessi studiato tedesco. Con questi due post, benchè fatti di accenni all’immensità che ho vissuto e che ricordo di quegli anni, ho cercato di farti capire quanto la lingua tedesca abbia determinato il mio destino dal punto di vista personale, fin dalle scuole elementari. 
Per concludere mi manca da informarti sullo sviluppo dal punto di vista professionale: la mia conoscenza del tedesco mi ha aiutata ad entrare definitivamente nel mondo del lavoro ed a ricevere diverse gratificazioni. Ma anche a questo proposito c'è un grosso risvolto personale, legato al giorno che entrai a lavorare in un’azienda di abbigliamento, assunta per seguire i negozi in Germania, e conobbi quel collega dell’ufficio informatico, che dopo qualche anno è diventato mio marito.

Chissà forse era tutto previsto fin da quelle poche parole segnate sul quaderno di quinta elementare….


A presto
Nel+cistail-

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