lunedì, maggio 13

Deutschland ueber Alles (Parte Prima)


Caro Lettore,

inizio questo post con un’affermazione categorica: per me il tedesco è una lingua perfetta, e nonostante l’apparenza di lingua astrusa e complicata, è molto più semplice di quanto si pensi. Infatti è regolata da una grammatica potente e strutturata, che, se ben assimilata, ti sostiene sempre e non ti mette in difficoltà nella conversazione. Inoltre essa possiede il vantaggio che con una sola parola, spesso composta dall’unione di altre, può dare vita ad immagini magnifiche, che in Italiano è possibile descrivere solo utilizzando delle perifrasi.
Non so se ho cominciato ad amare la lingua tedesca consapevolmente, o se il fatto di averla studiata fin da piccola con piacere ha determinato il mio destino, a cui non mi sono evidentemente sottratta. Fatto sta che la lingua tedesca mi ha dato tante soddisfazioni personali e professionali.

Ho cominciato a studiare il tedesco in quinta elementare in un’epoca in cui ancora non era previsto lo studio di una lingua straniera a quel livello di istruzione. Quell’anno però, in vista di una gita scolastica a Vienna, fu chiamata una giovane insegnante che ci introdusse nel fantastico mondo del tedesco, facendoci riempire il quaderno di un elenco di sostantivi, relativi agli oggetti, in cui avremmo potuto imbatterci nel nostro viaggio.
Questo avvenimento fu accolto molto positivamente in casa mia, tant’è che da quel momento mio padre cominciò a diffondere il falso mito che in casa nostra si parlavano tre lingue, oltre all’Italiano, e cioè l’inglese, che lui aveva studiato a scuola e parlava ad un livello sufficiente, il francese, che mia madre aveva studiato a scuola, ma con scarsi risultati verificati dall’esperienza quotidiana in famiglia, e il tedesco, che secondo mio padre io avrei parlato in maniera corretta anche se in realtà sapevo dire a malapena “forchetta” e “cucchiaio”. Ciò che è successo dopo alla fine gli ha dato ragione, anche se parzialmente, perché mia madre ha confermato ancora di più di ignorare il francese.
Per l’appunto quando mi iscrissi alle Scuole Medie, capitai nella sezione in cui si studiava il tedesco e mi appassionai alla lingua grazie al libro di testo che usavamo in classe, il “Gute Reise, Mirco”, cioè “Buon viaggio, Mirco”, in cui questo Mirco era un ragazzino italiano che si recava in Germania ospite della famiglia Rossner, e le cui vicende quotidiane erano lo spunto per l’enunciazione di regole grammaticali.
Durante le vacanze estive tra la prima e la seconda Media, la nostra insegnante organizzò un viaggio nella Germania est, in collaborazione con un’associazione che promuoveva i rapporti con il nostro paese. Poche furono le adesioni, principalmente perché i genitori ebbero qualche dubbio a mandare i propri figli in una terra che poteva presentare dei pericoli, come evidentemente era la ex Germania dell’Est nei primi anni ottanta. Anche io sarei dovuta essere tra questi, ma per fortuna mia madre, forte della sua professionalità come insegnante, pensò bene di offrirsi volontaria per accompagnare la classe, il che accontentò la sua tranquillità e la mia voglia di partire.
Il nostro gruppo, formato da otto ragazzi di undici anni e due accompagnatrici, partì all’inizio di Agosto del 1982 e dopo un lungo viaggio in treno, arrivò a Sebniz, un paesino che si trova vicino a Dresda, al confine con la ex Cecoslovacchia. Lì trascorremmo tre settimane in un campo vacanze gestito dai cosiddetti “pionieri”, un’organizzazione giovanile di regime che raccoglieva ragazzi e ragazze della nostra età, provenienti non solo dalla Germania dell’est ma anche da altri paesi ex socialisti (soprattutto Polonia e Cecoslovacchia).
Nonostante siano passati tantissimi anni, il ricordo di quella vacanza è indelebile. L’impressione generale fu quella di essere stati catapultati indietro nel tempo, in un’epoca precedente alla nostra nascita. Le case erano squallide e grigie, pochi i negozi, solo alimentari pieni di casse di patate, la persone sembravano trasandate, vestite di grigio, tutte con lo stesso tipo di scarpe ai piedi, non c’era un cinema, le poche auto, che avrei scoperto in seguito essere le mitiche Trabant,  mi sembravano quelle di Topolinia.
La difficoltà più grande per me fu la qualità del cibo, per cui mi ricordo di aver mangiato patate e zuppe per tre settimane, in quanto non riuscivo ad affrontare la carne perché mi ero messa in testa che in Germania mangiavano solo carne di maiale, e che non avrei trovato mai quella di manzo. Per il resto fu un soggiorno molto divertente, questi pionieri erano pieni di iniziativa e organizzavano giochi e laboratori per tutti, durante i quali imparammo qualcosa in più di tedesco e ci integrammo molto bene nella loro comunità. Un giorno ci portarono nella Svizzera Sassone, dove affrontammo una camminata di diverse ore, salendo anche per delle ripide scale naturali per arrivare a vedere un panorama stupendo del fiume Elba. Anche al campo i nostri compagni, tutti vestiti in uniforme, sembravano venuti dal passato. Questo ebbi modo di verificarlo soprattutto al mio ritorno quando cominciai a ricevere lettere dalle ragazze con le quali mi ero scambiata l’indirizzo. Per anni ho ricevuto cartoline o foto di tristi paesaggi in bianco e nero delle località dove loro vivevano (mi ricordo che la maggior parte di queste lettere arrivavano dalla cittadina di Senftenberg) e oggetti semplici come ritagli di giornale con foto di cuccioli di animali o piccoli calendari di cartone, sempre con animali protagonisti, e a cui ho sempre avuto difficoltà a rispondere in quanto i miei interessi erano altri e gli unici ritagli che avrei potuto mandare loro sarebbero stati tratti da riviste per le adolescenti dell'epoca tipo Ragazza In e Cioè.
Finite le medie mi iscrissi al Liceo Classico, dove lo studio della lingua straniera era previsto solo nei primi due anni, quindi c’era l’obbligo di iscriversi ad una sezione dove si studiasse la stessa lingua fatta alle medie. A Firenze quell’anno c’era un’unica sezione di un Liceo, in cui si studiava il tedesco, quindi la mia scelta fu facile e obbligata. Di questa esperienza biennale mi ricordo in particolare dell’insegnante di madre lingua, una certa Hildegard, una donna bruttissima, alta, secca e con dei capelli orrendi e appiccicosi, che sembrava se li fosse lavati con l’uovo senza risciacquarli. Chiaramente non aveva molto fascino sui di noi studenti (eravamo in otto, visto che la classe era bilingue, gli altri studiavano il francese) anzi l’abbiamo umiliata per due anni non ascoltando le sue spiegazioni e arrivando in classe senza aver fatto i compiti, che venivano svolti proprio durante l’ora di lezione prima dell’interrogazione. La povera Hildegard, distrutta da questo nostro atteggiamento, cambiò registro e puntò tutto sulla compassione nei suo confronti, cercando di smuovere le nostre anime verso un atteggiamento pietoso, che avrebbe secondo lei portato ad un nostro maggiore impegno. Ma, nonostante cominciasse a raccontare che non dormiva la notte e altri tristi episodi, la tattica non funzionò. Quando arrivò a dire “vi prego studiate, se non lo fate per voi, fatelo per me!” finì la quinta Ginnasio e non la vedemmo più.
Nonostante la brutta esperienza con l’insegnante la passione per la lingua tedesca non diminuì, infatti, appena finito il Liceo, non ebbi dubbi su come continuare la mia carriera scolastica e m’iscrissi al corso di Laurea in Lingue e Letterature Straniere Moderne dell’Università di Firenze, con un piano di studio in cui segnai il Tedesco come prima lingua.
Frequentando le lezioni del primo anno mi resi conto subito che la mia preparazione non sarebbe bastata per superare gli esami. E fu così che durante le vacanze estive del primo e del secondo anno feci un mese di vacanza studio a Duesseldorf nel 1991 e a Jena nel 1992, che mi servirono a fare dei grossi passi avanti nella comprensione ed espressione del tedesco.
Le esperienze sopra citate mi fecero capire che era possibile esprimersi in una lingua straniera, ma il livello di espressione sia scritta che orale richiesto agli esami era superiore a ciò che avevo acquisito. Così due anni dopo mi vidi costretta a tornare di nuovo in Germania con la mia amica e compagna di studio Barbara per un periodo di qualche mese ad Hannover, capoluogo della Bassa Sassonia, di cui ti ho raccontato qui per quanto riguarda l'aspetto culinario di quel soggiorno.

Caro Lettore, 
era il 1994, e la giovane ragazza che partì quel giorno, versando lacrimoni copiosi abbandonando temporaneamente la famiglia e il fidanzato, perchè raramente si era allontanata da casa da sola, e comunque mai per un periodo di tempo di diversi mesi, mai si sarebbe immaginata che quello sarebbe stato il primo di una lunga serie di soggiorni in terra tedesca, duranti i quali la sua vita sarebbe completamente cambiata e lei sarebbe cresciuta e diventata finalmente adulta.
Ma questa è un’altra storia e te la racconterò presto nella prossima puntata.

A Presto
Nel+cistail-

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