Caro
Lettore,
inizio
questo post con un’affermazione categorica: per me il tedesco è una lingua
perfetta, e nonostante l’apparenza di lingua astrusa e complicata, è molto più
semplice di quanto si pensi. Infatti è regolata da una grammatica potente e
strutturata, che, se ben assimilata, ti sostiene sempre e non ti mette in
difficoltà nella conversazione. Inoltre essa possiede il vantaggio che con una
sola parola, spesso composta dall’unione di altre, può dare vita ad immagini
magnifiche, che in Italiano è possibile descrivere solo utilizzando delle
perifrasi.
Non
so se ho cominciato ad amare la lingua tedesca consapevolmente, o se il fatto di
averla studiata fin da piccola con piacere ha determinato il mio destino, a cui
non mi sono evidentemente sottratta. Fatto sta che la lingua tedesca mi ha dato
tante soddisfazioni personali e professionali.
Ho
cominciato a studiare il tedesco in quinta elementare in un’epoca in cui ancora
non era previsto lo studio di una lingua straniera a quel livello di istruzione.
Quell’anno però, in vista di una gita scolastica a Vienna, fu chiamata una
giovane insegnante che ci introdusse nel fantastico mondo del tedesco,
facendoci riempire il quaderno di un elenco di sostantivi, relativi agli
oggetti, in cui avremmo potuto imbatterci nel nostro viaggio.
Questo
avvenimento fu accolto molto positivamente in casa mia, tant’è che da quel momento
mio padre cominciò a diffondere il falso mito che in casa nostra si parlavano
tre lingue, oltre all’Italiano, e cioè l’inglese, che lui aveva studiato a
scuola e parlava ad un livello sufficiente, il francese, che mia madre aveva
studiato a scuola, ma con scarsi risultati verificati dall’esperienza
quotidiana in famiglia, e il tedesco, che secondo mio padre io avrei parlato in
maniera corretta anche se in realtà sapevo dire a malapena “forchetta” e
“cucchiaio”. Ciò che è successo dopo alla fine gli ha dato ragione, anche se
parzialmente, perché mia madre ha confermato ancora di più di ignorare il francese.
Per
l’appunto quando mi iscrissi alle Scuole Medie, capitai nella sezione in cui si
studiava il tedesco e mi appassionai alla lingua grazie al libro di testo che
usavamo in classe, il “Gute Reise, Mirco”, cioè “Buon viaggio, Mirco”, in cui
questo Mirco era un ragazzino italiano che si recava in Germania ospite della
famiglia Rossner, e le cui vicende quotidiane erano lo spunto per
l’enunciazione di regole grammaticali.
Durante
le vacanze estive tra la prima e la seconda Media, la nostra insegnante
organizzò un viaggio nella Germania est, in collaborazione con un’associazione
che promuoveva i rapporti con il nostro paese. Poche furono le adesioni,
principalmente perché i genitori ebbero qualche dubbio a mandare i propri figli
in una terra che poteva presentare dei pericoli, come evidentemente era la ex
Germania dell’Est nei primi anni ottanta. Anche io sarei dovuta essere tra
questi, ma per fortuna mia madre, forte della sua professionalità come
insegnante, pensò bene di offrirsi volontaria per accompagnare la classe, il
che accontentò la sua tranquillità e la mia voglia di partire.
Il
nostro gruppo, formato da otto ragazzi di undici anni e due accompagnatrici,
partì all’inizio di Agosto del 1982 e dopo un lungo viaggio in treno, arrivò a
Sebniz, un paesino che si trova vicino a Dresda, al confine con la ex
Cecoslovacchia. Lì trascorremmo tre settimane in un campo vacanze gestito dai
cosiddetti “pionieri”, un’organizzazione giovanile di regime che raccoglieva
ragazzi e ragazze della nostra età, provenienti non solo dalla Germania
dell’est ma anche da altri paesi ex socialisti (soprattutto Polonia e Cecoslovacchia).
Nonostante
siano passati tantissimi anni, il ricordo di quella vacanza è indelebile. L’impressione
generale fu quella di essere stati catapultati indietro nel tempo, in un’epoca
precedente alla nostra nascita. Le case erano squallide e grigie, pochi i
negozi, solo alimentari pieni di casse di patate, la persone sembravano
trasandate, vestite di grigio, tutte con lo stesso tipo di scarpe ai piedi, non
c’era un cinema, le poche auto, che avrei scoperto in seguito essere le mitiche
Trabant, mi sembravano quelle di
Topolinia.
La
difficoltà più grande per me fu la qualità del cibo, per cui mi ricordo di aver
mangiato patate e zuppe per tre settimane, in quanto non riuscivo ad affrontare
la carne perché mi ero messa in testa che in Germania mangiavano solo carne di
maiale, e che non avrei trovato mai quella di manzo. Per il resto fu un
soggiorno molto divertente, questi pionieri erano pieni di iniziativa e
organizzavano giochi e laboratori per tutti, durante i quali imparammo qualcosa
in più di tedesco e ci integrammo molto bene nella loro comunità. Un giorno ci
portarono nella Svizzera Sassone, dove affrontammo una camminata di diverse
ore, salendo anche per delle ripide scale naturali per arrivare a vedere un
panorama stupendo del fiume Elba. Anche al campo i nostri compagni, tutti
vestiti in uniforme, sembravano venuti dal passato. Questo ebbi modo di
verificarlo soprattutto al mio ritorno quando cominciai a ricevere lettere
dalle ragazze con le quali mi ero scambiata l’indirizzo. Per anni ho ricevuto
cartoline o foto di tristi paesaggi in bianco e nero delle località dove loro
vivevano (mi ricordo che la maggior parte di queste lettere arrivavano dalla
cittadina di Senftenberg) e oggetti semplici come ritagli di giornale con foto
di cuccioli di animali o piccoli calendari di cartone, sempre con animali
protagonisti, e a cui ho sempre avuto difficoltà a rispondere in quanto i miei
interessi erano altri e gli unici ritagli che avrei potuto mandare loro
sarebbero stati tratti da riviste per le adolescenti dell'epoca tipo Ragazza In e Cioè.
Finite
le medie mi iscrissi al Liceo Classico, dove lo studio della lingua straniera
era previsto solo nei primi due anni, quindi c’era l’obbligo di iscriversi ad
una sezione dove si studiasse la stessa lingua fatta alle medie. A Firenze quell’anno
c’era un’unica sezione di un Liceo, in cui si studiava il tedesco, quindi la
mia scelta fu facile e obbligata. Di questa esperienza biennale mi ricordo in
particolare dell’insegnante di madre lingua, una certa Hildegard, una donna
bruttissima, alta, secca e con dei capelli orrendi e appiccicosi, che sembrava
se li fosse lavati con l’uovo senza risciacquarli. Chiaramente non aveva molto
fascino sui di noi studenti (eravamo in otto, visto che la classe era bilingue,
gli altri studiavano il francese) anzi l’abbiamo umiliata per due anni non
ascoltando le sue spiegazioni e arrivando in classe senza aver fatto i compiti,
che venivano svolti proprio durante l’ora di lezione prima dell’interrogazione.
La povera Hildegard, distrutta da questo nostro atteggiamento, cambiò registro
e puntò tutto sulla compassione nei suo confronti, cercando di smuovere le
nostre anime verso un atteggiamento pietoso, che avrebbe secondo lei portato ad
un nostro maggiore impegno. Ma,
nonostante cominciasse a raccontare che non dormiva la notte e altri tristi episodi,
la tattica non funzionò. Quando arrivò a dire “vi prego studiate, se non lo
fate per voi, fatelo per me!” finì la quinta Ginnasio e non la vedemmo più.
Nonostante la brutta esperienza con l’insegnante la passione per la lingua
tedesca non diminuì, infatti, appena finito il Liceo, non ebbi dubbi su come
continuare la mia carriera scolastica e m’iscrissi al corso di Laurea in Lingue
e Letterature Straniere Moderne dell’Università di Firenze, con un piano di
studio in cui segnai il Tedesco come prima lingua.
Frequentando le lezioni del primo anno mi resi conto subito che la mia preparazione non sarebbe bastata per superare gli esami. E fu
così che durante le vacanze estive del primo e del secondo anno feci un mese di
vacanza studio a Duesseldorf nel 1991 e a Jena nel 1992, che mi servirono a
fare dei grossi passi avanti nella comprensione ed espressione del tedesco.
Le esperienze sopra citate mi fecero capire che era possibile esprimersi in una lingua straniera, ma il livello di espressione sia scritta che orale richiesto agli esami era superiore a ciò che avevo acquisito.
Così due anni dopo mi vidi costretta a tornare di nuovo in Germania con la mia
amica e compagna di studio Barbara per un periodo di qualche mese ad Hannover,
capoluogo della Bassa Sassonia, di cui ti ho raccontato qui per quanto riguarda l'aspetto culinario di quel soggiorno.
Caro Lettore,
era il
1994, e la giovane ragazza che partì quel giorno, versando lacrimoni copiosi abbandonando temporaneamente la famiglia e il fidanzato, perchè raramente si era allontanata da casa da
sola, e comunque mai per un periodo di tempo di diversi mesi, mai si sarebbe immaginata che quello sarebbe
stato il primo di una lunga serie di soggiorni in terra tedesca, duranti i
quali la sua vita sarebbe completamente cambiata e lei sarebbe cresciuta e
diventata finalmente adulta.
Ma
questa è un’altra storia e te la racconterò presto nella prossima puntata.
A Presto
Nel+cistail-
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