Caro
Lettore,
Lo
zio Gino, era lo zio di mia madre, fratello minore di mia nonna materna. A
Firenze lo potremmo definire “un personaggio”, cioè una persona estroversa, dai
modi di fare singolari e una condotta di vita fuori dal comune. Sicuramente avrebbe
potuto ispirare qualche nostro regista toscano, e fare il protagonista di una
commedia. Mi immagino già la scena in cui lui compare sulla sua moto, con la
voce fuori campo di Pieraccioni, che comincia a raccontare la sua storia.
Lo
zio Gino era nato nel 1911, ed era il parente preferito di mia madre. Nei miei
ricordi c’è una foto, in cui io all’età di quattro o cinque anni sono seduta su
una moto con le mani sul manubrio, come se la stessi guidando, e mi trovo in un
paese del Casentino dove lo zio Gino aveva una casa in campagna. Anche la moto
era sua, in effetti lo zio era appassionato di motori e anche da anziano,
finché ha potuto, si è sempre spostato in motorino. A vederlo era buffo, non
tanto alto, in carne, orologio d’oro al polso, anello d’oro tipo pataccone alla mano destra e
vari braccialetti sempre di valore ad entrambe le braccia. Da dove venissero
tutte queste risorse non si è mai capito bene, oltre al fatto di come potesse
permettersi di viaggiare in giro per il mondo, visto che non aveva un mestiere
dichiarato, se non quello di mantenuto dalla moglie, la zia Elda, che faceva la
parrucchiera in casa, ma che probabilmente ricavava dal suo mestiere ben più di
quello che ci si aspettasse.
Questo
era l’argomento principale del pettegolezzo che circolava in casa nostra,
specie nella famiglia di mio padre, che si interrogava spesso su questo
personaggio. Il sospetto, suffragato anche dall’assenza di prole dopo anni di
matrimonio, era che lo zio Gino fosse, diciamo così, interessato più agli
uomini che alle donne, e che il matrimonio fosse d’interesse, soprattutto
quello dello zio Gino a farsi mantenere e a fare “la bella vita”.
In
effetti, da quel che mi ricordo, lo zio, negli anni della mia infanzia, si
recava spesso all’estero, specie in Sudamerica, lasciando a casa la moglie, ma
portandosi dietro la fedelissima Chetti, un barboncino bianco amato e viziato
peggio di un figlio. Dopo Chetti, che ci lasciò alla fine degli anni ottanta, vennero
Papi, il figlio di Chetti e Chetti due, mentre negli ultimi anni c’era Gilù, tutti
rigorosamente barboncini bianchi, a cui lo zio ha sempre dato un amore
incommensurabile, preferendoli sicuramente alla zia Elda. Di quest’ultima mi
ricordo poco, soprattutto perché prima che morisse nel 1986, non credo di
averla frequentata molto. In mente ho comunque una donna magra e alta con dei
capelli castani, sempre in piega, dato evidentemente il suo mestiere.
Stranamente
mi ricordo della sua morte, che fu improvvisa e inaspettata, e avvenne circa
una settimana dopo la morte di mia nonna materna, con cui non erano mai
intercorsi buoni rapporti. Il commento di mia madre all’epoca fu che la nonna si
sarebbe fatta delle grosse risate ovunque fosse, vendendo arrivare l’odiata cognata
una settimana dopo di lei.
Ma tornando
allo zio Gino, il suo vizio di viaggiare risaliva agli anni della sua gioventù,
quando aveva viaggiato molto, e soprattutto lontano. Celebre il suo viaggio in Sudamerica
negli anni cinquanta, quando era partito con la nave Paolo Toscanelli
promettendo a mio zio, il fratello maggiore di mia madre, che gli avrebbe
portato in regalo un cavallo. Mio zio ci credette e costrinse mia nonna a
svuotare il ripostiglio per fare la stalla all’animale. Chiaramente non arrivò
nessun cavallo, ma lo zio Gino si seppe far perdonare portando una scimmietta, che
fu chiamata Toscanelli, in omaggio alla nave su cui aveva viaggiato.
La
scimmietta fu accolta positivamente in casa, e diventò presto la mascotte di
famiglia. Mia madre racconta che era piccolina tant’è che s’infilava nei posti
più impensabili. Purtroppo la piccola Toscanelli, proprio a causa delle sue
dimensioni e del suo vizio di nascondersi ovunque, fece una brutta fine,
rimase con la testa schiacciata nello stipite di una porta, causando così
un’immensa tristezza in tutta la famiglia, specie di mio nonno che era stato
l’artefice involontario della morte del caro animaletto.
Dopo
la morte della zia Elda, lo zio Gino, avendo preso possesso del gruzzoletto lasciatogli
dalla moglie, si dedicò ancora di più alla sua passione e cominciò a trascorrere lunghi
periodi all’estero, in particolare alle isole Canarie, dove a suo dire, si
stava bene anche d’inverno. Durante uno di questi soggiorni conobbe una signora
tedesca, più giovane di lui e molto simpatica, con la quale cominciò una
relazione, per cui lei veniva spesso e per lunghi periodi a Firenze. Venivano insieme anche a casa nostra la domenica a pranzo. Le malelingue
in casa di mio padre commentarono che la signora aveva fiutato l’affare, trovando
il modo di trascorrere mesi interi in una splendida città, senza particolari spese,
e soprattutto senza obbligo di sottoporsi a "doveri coniugali”, a causa della
suddetta predilezione dello zio Gino.
Ad
ogni modo questa storia andò avanti per diversi anni, in cui nonostante non
parlassero la stessa lingua riuscivano a comprendersi alla perfezione, più che
altro a gesti, finché lei non si stufò di questa situazione e si decise a
imparare l’Italiano, approfittando di me per potersi spiegare meglio in
tedesco. Verso la fine degli anni novanta queste visite cominciarono a
diradarsi, finche la signora non venne più. Di lei si seppe in seguito che era
morta in Germania.
Ma lo
zio non sembrò molto triste per questo fatto, anche perché nel frattempo nella sua
vita era entrato Lucas, un medico brasiliano che viveva in Italia, dove, non
potendo esercitare la sua professione, si dedicava a qualsiasi attività in cui
potesse far comodo la sua prestanza fisica. Era infatti un gigante buono, che per motivi a me sconosciuti aveva incrociato la sua strada
con quella dello zio Gino.
Le solite malelingue raggiunsero il culmine del loro
ragionamento, in quanto questa particolare amicizia era la conferma di tutti i
sospetti insinuati nei decenni precedenti. Non so dire se fosse vero, ma apparentemente
Lucas non fu certo un “amante” bensì essenzialmente un compagno di viaggi, di cui
uno in Brasile nella sua città d’origine, che portava lo zio Gino sulla sua Harley Davidson, il gigante davanti e il nano dietro.
Mi ricordo che erano
sempre in giro e spesso si presentavano senza invito a casa nostra la domenica
pomeriggio. I miei, che aspettavano quel momento particolare della settimana per concedersi una bella dormita
sul divano, senza il ben che minimo interesse a ricevere visite, quando li
sentivano arrivare in moto, si nascondevano dietro il divano per dare
l’impressione che non ci fosse nessuno in casa, anche a chi avesse guardato
dalla finestra del salotto. E stavano nascosti anche mezzora perché Lucas
continuava a suonare il campanello di casa, probabilmente con cognizione di causa, in quanto probabilmente dalla finestra di salotto si vedevano le ombre
dei miei dietro il divano. Ad ogni modo questa manfrina è andata avanti per
anni, senza che nessuno chiedesse spiegazioni.
In
seguito quando lo zio Gino cominciò a risentire degli acciacchi dell’età, Lucas
diventò una specie di assistente, lo aiutava nelle commissioni, gli faceva da
autista, puliva casa etc, fino a trasferirsi da lui definitivamente.
Caro Lettore,
Il
fatto che lo zio Gino a causa della demenza senile non riconoscesse gli
affetti più cari nell'ultimo periodo della sua vita, e dovesse essere ricoverato in clinica per impedirgli di
combinare qualche guaio in casa, non cancella il ricordo della sua simpatia ed
espansività.
Oltre
al ricordo, resta anche l’eredità ricevuta dopo la sua morte. Ed è strano che del
suo patrimonio che lui aveva gelosamente custodito, preservandolo anche da
struggevoli richieste di soldi da parte di nipoti bisognosi (i suoi e quelli
della zia Elda) con la promessa, che suonava più come una minaccia, “quando
muoio vi lascio tutto, se ve li do ora non prendete niente dopo”, sia rimasto
ben poco da spartire.
Mi
immagino che se li sia portati con sé ovunque sia, perché non si sa mai,
potrebbero essere utili per fare qualche viaggio…
A presto
Nel+cistail-
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