Caro Lettore,
non c’è dubbio, mi
piace mangiare! Però, se è vero che la quantità di cibo che passa dal mio
piatto al mio stomaco non mi spaventa, devo ammettere di avere gusti limitati,
il che potrebbe far pensare che io sia schizzinosa, mentre in realtà il mio
atteggiamento è conseguenza di esperienze particolari della mia infanzia che
non sono riuscita a superare del tutto.
Da piccola sono
sempre stata elogiata dai miei familiari soddisfatti perché "la bambina è
di appetito e non ha mai saltato un pasto”. Ci sono alcuni aneddoti a conferma
di ciò, tipo il fatto che fossi abituata a mangiare a mezzogiorno in punto
e che diventassi una iena se non mi si presentava il piatto alla mia ora, per
cui mia madre racconta di quando non sapevo ancora parlare ma urlavo “iso
iso!!” dal seggiolone chiedendo che mi fosse dato il riso; oppure i
dispetti che mi faceva la mia bisnonna che avvicinandosi l'ora di pranzo mi
veniva a cercare dicendomi che non mi avrebbero dato da mangiare, e io
disperata che gattonavo piangendo a cercare consolazione da mia nonna.
Ma l’episodio
fondamentale che ha condizionato tutta la mia vita accadde in seguito, quando
all'asilo mi servirono un tipo di carne che non avevo ancora provato, le
cronache riportano che fosse vitella, ed io, evidentemente disgustata da
quest’assaggio, vomitai tutto quello che avevo ingurgitato, rifiutandomi da
quel momento di mettere sotto i denti qualsiasi tipo di carne.
Questo rifiuto durò
qualche anno, per cui prima all’asilo e poi alla scuola materna, mia madre o
mia nonna rifornivano quotidianamente la cucina della scuola di un alimento
sostitutivo per il mio pranzo. Mi ricordo a tal proposito di uova, che venivano
passate dalla strada alla cuoca attraverso la finestra della cucina e che mi
ritrovavo nel piatto all'ora di pranzo.
Il dottore però
sentenziò che non potevo rinunciare completamente alla carne in una delicata
fase di crescita come quella che stavo attraversando e costrinse mia madre e
mia nonna ad inventarsi una soluzione per somministrarmela a mia insaputa.
Fu così che
cominciarono a servirmi le patate primavera che, mi si disse, erano patate più
scure di quelle normali, tacendomi il fatto che si trattava in realtà di purè,
mischiato a carne di manzo macinata. Certo non sono stata l’unica e
probabilmente nemmeno la più cogliona, dato che una mia conoscente mangiava la
“Muccanza” che sua madre con la complicità del macellaio, le aveva fatto
credere non essere carne anche se si comprava in macelleria.
Dopo anni di patate
primavera, un giorno mi resi conto dell’inganno, probabilmente perché mia nonna
non era riuscita ad amalgamare completamente la carne con le patate, e, tra lo
stupore di tutti, dichiarai che in fin dei conti la carne di manzo non mi
dispiaceva e ricominciai a mangiarla. Col tempo affrontai anche il pollo che
diventò mio amico carissimo a tavola, specialmente quando tagliato a bocconcini
e ammorbidito nel limone veniva cucinato nel latte.
In generale posso
comunque dire che l'episodio dell'asilo ha avuto notevoli conseguenze nella mia
alimentazione e ha fatto sì che io sia diventata molto sospettosa nei confronti
dei sapori della carne.
Infatti per un
motivo oscuro ai più, mi sono sempre rifiutata di mangiare il maiale,
probabilmente perché preferivo il sapore del manzo che mi era comunque rimasto
familiare grazie alle patate primavera e perché la fettina di maiale mi
ricordava quella che mi aveva dato noia all’asilo quella volta, ad ogni modo da
allora non sono mai riuscita ad affrontare la bistecca e le costine di maiale
(che in Toscana vengono definite con il termine "Rosticciana").
Ma non è finita
qui, per un motivo ancora più oscuro dal quel momento sono
riuscita a mangiare tranquillamente, anzi direi che ne sono ghiotta, dei
surrogati del maiale quali prosciutto cotto (che adoro e ne mangerei a
quintali), prosciutto crudo e salsicce; non solo, tra le carni più comuni non
mangio agnello, qualsiasi tipo di volatile che non sia il pollo, il coniglio,
il tacchino, la pecora, l'oca, la trippa e la selvaggina, e non sono certo una
frequentatrice della sagra della ranocchia fritta o della lumaca, ma negli
anni ho cominciato ad apprezzare il cinghiale, il lampredotto, e soprattutto il Doener
Kebab nonostante il sospetto
che si tratti di carne di montone.
In realtà il motivo
oscuro l'ho sempre saputo, il mio rifiuto è dovuto alla paura di provare le
stesse sensazioni che mi portarono quel giorno a decidere di non mangiare più
carne. Invece i miei familiari, soprattutto mia madre, hanno continuato in
tutti questi anni ad ignorarlo e mi hanno sempre accusata di dare giudizi a
priori. La frase più ricorrente della mia vita è stata, "ma come fai a
dire che non ti piace se non l'hai mai assaggiato!", frase logica che però
mi ha sempre messa in crisi perché non sapevo cosa rispondere. Oggi
invece, per evitare discussioni inutili, visto anche il fatto che mia
madre non ha più il controllo sui miei pasti, rispondo con un laconico
"L'ho assaggiato, ma non mi è piaciuto", che tranquillizza tutti.
Questa mia
idiosincrasia nei confronti di certi tipi di carne ha sempre provocato qualche
perplessità in chi mi accoglieva in casa, specie se si trattava di massaie e
regine della cucina. A cominciare da mia nonna, che si scervellava per
cucinarmi cibi che sapeva essere di mio gradimento, tipo un paio di etti di
prosciutto cotto, il pollo al latte e i pomodori ripieni, e che alla fine del
pranzo mi chiedeva sempre: "ma ti ho accontentata?"
In seguito ho messo
in crisi le madri, le zie e le sorelle e i fratelli dei miei fidanzati.
L'episodio più eclatante accadde quando fui invitata a pranzo dalla zia di
Umberto, il mio primo fidanzato ufficiale a 20 anni, la quale aveva cucinato il
tacchino in umido. Io ci provai a mangiarlo per amore, ma mi ritrovai a
vomitare in bagno, e adducendo una forma influenzale improvvisa costrinsi il
mio fidanzato a portarmi velocemente a casa. Dopo questo episodio siamo stati
insieme per altri tre anni ma non sono stata più invitata a pranzo dalla zia.
Per fortuna oggi la
mia cara suocera e il mio caro cognato, le regine della cucina a casa di mio
marito, hanno capito la situazione e cercano di accontentarmi, ma comunque
tengono sempre una confezione di prosciutto cotto in frigorifero.
L'esperienza più
importante per me, quella in cui ho superato la mia paura, è stata quella che
mi ha portata ad assaggiare le budella di maiale. A pochi passi da Firenze c’è
un’antica tradizione, che continua tutt'oggi in alcune periodi dell’anno, per
cui si preparano e si cucinano le budella di maiale.
Cucinare le budella
richiede una lunga preparazione, infatti esse devono essere lavate più volte
sia da dritto che da rovescio, per togliere i residui di ciò che ci era passato
dentro, e poi devono essere cotte a lungo in una pentola piena d'acqua con
varie spezie e del cavolo verza. Si servono in tavola tirandole su direttamente
dalla pentola, sono molto morbide e tenere da tagliare e si mangiano
accompagnandole con sottaceti e sottolio. Con il brodo che ne deriva si fa un risotto.
Mia nonna quando
veniva il momento di fare le budella, lavorava la giornata intera del sabato e
la domenica riuniva tutta la famiglia intorno al pentolone. Io chiaramente non
ho mai voluto mangiarle, nonostante l’insistenza di tutta la famiglia, anche se
mi attirava moltissimo l'odore che circolava in casa e vedere la gioia con cui
i miei familiari con il forchettone tiravano su metri di budella e se le
mettevano nel piatto. Qualche volta mi è stato fatto mangiare il risotto
con la scusa che "tanto lì le budella non ci sono", come se non
capissi che il sapore del brodo derivava da quello che ci era stato cotto
dentro.
Insomma questa
delle budella era una vera e propria celebrazione di un rito, a cui io non ho
mai partecipato, con sommo dispiacere dei miei nonni, preoccupati soprattutto
che la tradizione non si tramandasse. Infatti così è accaduto perché mio nonno
è morto e mia nonna non è più in condizioni di sottoporsi alla lunga
preparazione, mio padre e mia zia preferiscono essere invitati da amici e
conoscenti, mentre io e mia cugina non ci siamo appassionate né al piatto né
alla preparazione.
Però l'ultima volta
che si è celebrato il rito, prima che morisse mio nonno, ebbene sì le ho
assaggiate. Sarà stato quell'odore che insinuatosi nel mio naso anno dopo anno
mi ha convinto che ci potevo provare, o la sensazione che forse era l'ultima
occasione, non so di preciso, comunque ne presi un pezzetto, lo misi nel
piatto, lo tagliai a strisce e mangiai senza gusto né disgusto. In
quell’occasione ho scoperto che le budella di maiale non hanno un proprio
sapore forte, ma sanno di cavolo verza e di spezie, in pratica lo stesso sapore
del risotto. Ho quindi capito che, in tutti quegli anni in cui i miei parenti
si abbuffavano di budella, cercando di convincermi a mangiarle, mentre io mi
rifiutavo in maniera energica, tutti avevamo perso tempo, specialmente loro che
giudicavano in maniera esagerata qualcosa che sapeva di verza.
Caro Lettore,
l'episodio in cui
ho mangiato le budella è rimasto l'unico della mia vita, ma è una tappa
fondamentale. Infatti, da una parte ha contribuito ad aumentare il mio orgoglio
fiorentino dandomi la possibilità di esaltare nel mondo il sapore di un piatto
della tradizione a ragion veduta, dall’altra mi è rimasta la soddisfazione
personale di aver superato un mio limite.
Certo è che sono
passati degli anni da quell’episodio e oggi mi chiedo come mi comporterei se mi
dovessero portare in tavola un piatto di budella? Chissà se potrò mai dare una
risposta a questa domanda…
A presto
Nel+cistail-
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