Caro
Lettore,
Mi rendo conto che il significato del titolo di questo post ti è oscuro, ma ti assicuro che ti sarà svelato alla fine. Il tema è la musica, o meglio la mia musica del cuore fin dall'infanzia.
Nel periodo delle scuole medie e del Liceo ho sempre invidiato i miei coetanei che di anno in anno, alla seguente domanda “qual è il tuo cantante/gruppo preferito?” davano sempre la stessa risposta, dimostrando di avere le idee chiare su che tipo di musica preferire. Certo oggi, superata la soglia dei quaranta anni, avrei la risposta pronta: sono una fan di Ligabue da quasi venti anni, conosco quasi tutte le sue canzoni a memoria e sono stata 15 volte ai suoi concerti. Invece nel passato, quando la risposta era fondamentale per conquistare il ragazzo di turno o farsi delle nuove amicizie, le mie certezze cambiavano di anno in anno.
Nel periodo delle scuole medie e del Liceo ho sempre invidiato i miei coetanei che di anno in anno, alla seguente domanda “qual è il tuo cantante/gruppo preferito?” davano sempre la stessa risposta, dimostrando di avere le idee chiare su che tipo di musica preferire. Certo oggi, superata la soglia dei quaranta anni, avrei la risposta pronta: sono una fan di Ligabue da quasi venti anni, conosco quasi tutte le sue canzoni a memoria e sono stata 15 volte ai suoi concerti. Invece nel passato, quando la risposta era fondamentale per conquistare il ragazzo di turno o farsi delle nuove amicizie, le mie certezze cambiavano di anno in anno.
Il primo mito è stato Claudio Baglioni. Il suo concerto al Teatro Tenda di Firenze alla fine degli anni settanta, è stato il primo a cui abbia assistito in assoluto. Avevo circa sette anni e mia madre, che mi aveva già introdotto nel mondo di Baglioni tramite
una musicassetta che girava in casa, mi utilizzò come scusa per andare al
concerto del suo cantautore preferito. Io, che ascoltavo quella cassetta
ovunque, sapevo a memoria tutte le canzoni, in particolare Sabato Pomeriggio e Questo piccolo grande amore, ed ero così affascinata da quelle parole che mentre le cantavo, immaginavo il passerotto che volava via o due ragazzi che si abbracciavano al faro o correvano verso un muro.
Quella volta uscire la sera ed entrare
in quello strano tendone a strisce che sembrava più un circo che un teatro, per
me erano già tanti punti esperienza. Ma nella mia memoria rimarrà sempre viva
l’immagine di un giovanissimo Baglioni, capelli ricci e lunghi, un abito di
cotone bianco, con giacca, gilet, e pantaloni rigorosamente a zampa d’elefante.
Che emozione quando salì sul palco, sia per la possibilità di sentire dal vivo
quello che avevo ascoltato in cassetta, sia perché per la prima volta vidi in
carne ed ossa il mio mito che non avevo visto nemmeno in tv (non so se per mia
mancanza data l’età o per l’assenza di trasmissioni che ospitavano musicisti a
cantanti negli anni settanta) e di cui possedevo solo un paio di foto e la
copertina di un disco.
Direi
che erano davvero altri tempi…
Qualche
anno dopo, nei primi anni ottanta, Baglioni, nonostante capolavori come Avrai e Strada Facendo, era diventato troppo vecchio per essere oggetto di
adorazione sfrenata da parte di una ragazzina di dodici/tredici anni, nel
momento in cui orde di fanciulle scatenarono tutte le energie represse dietro
dei ragazzoni inglesi al ritmo di the WildBoys. Ebbene sì, sto parlando dei mitici Duran Duran, che, grazie anche
al carisma del loro leader e cantante Simon Le Bon, nel periodo in cui io
frequentavo le scuole medie ebbero un successo travolgente tanto che si crearono gruppi di loro sostenitrici, le cosiddette Duraniane che scatenarono una sorta di guerra con le fan di un altro gruppo inglese in voga in quegli anni, gli SpandauBallet. Io,
tanto per andare contro corrente, non mi professai “Duraniana”, anche perché mi
ero innamorata perdutamente del fascinoso gigante Tony Hadley, il cantante
degli Spandau Ballet che grazie alla sua voce elegante e flautata, portò al
successo brani eccezionali quali True,
Gold e Through the Barricades.
Ma le
“Duraniane” ovunque nel mondo prevalsero sulle “Spandauballettiane”, e la mia
scuola non fece eccezione. In terza media la mia classe andò in settimana bianca con un
paio di altre classi formate esclusivamente da “Duraniane”, che non dettero
tregua cantando tutte le canzoni dell’album Arena
per la durata del viaggio, e scatenando la mia antipatia perché sapevano a
memoria il testo in inglese, mentre io che facevo tedesco avevo delle
difficoltà.
Nel
passaggio al liceo mi aprii mentalmente, superai queste battaglie tra gruppi di
fans e scoprii mondi diversi.
Primo
fra tutti quello di Madonna, che, nonostante avesse pubblicato già due album e
fosse diventata un’icona di stile, non mi aveva conquistato in precedenza.
Invece in quarta Ginnasio nel 1986 la mia amica Giulia mi registrò
i due album di Madonna su musicassetta ed io cominciai ad apprezzarne la musica e di
conseguenza il testo, grazie soprattutto alla mia volontà per cui, vocabolario alla
mano, senza aver studiato una pagina di grammatica inglese, feci la traduzione
di parecchie canzoni tratte dai primi album Madonna,
Like a Virgin e in seguito True Blue. Tant’è che oggi mi ricordo il
testo in inglese a memoria, forse era davvero destino che studiassi lingue…
Inoltre
Giulia ed io provammo a diventare madonnare vere e proprie, cercando di imitare
lo stile della cantante e presentandoci a scuola con un nastro di tulle nero
fra i capelli ed enormi orecchini a cerchio, ma per fortuna i nostri compagni
ci guardarono così male che ritornammo alla normalità e rimandammo tutti i
nostri buoni propositi alla festa di carnevale di quell’anno.
Non
ho mai smesso di seguire Madonna, tra alti e bassi in tutte le sue espressioni dagli anni
ottanta ad oggi, addirittura nell’agosto 2006 mi recai al suo concerto allo
stadio olimpico di Roma, dove io e la mia amica Laura pagammo una fortuna
l’ingresso al prato e riuscimmo a vedere pochissimo dell’incredibile spettacolo
che si svolse sul palco. Conscia di ciò, con tutto il bene che le potessi
volere, non sono andata al suo concerto di Firenze due anni fa, ma mi sono
vista le riprese che Laura, spendendo il doppio del concerto di Roma, ha fatto
con il suo Smartphone a distanza ravvicinata dal palco.
Tornando
al 1986, l’anno successivo ci fu l’esplosione di un gruppo svedese composto da cinque
figoni dai capelli lunghi e mossi, gli Europe, che scalarono tutte le
classifiche con i loro singoli, ancora conosciutissimi, The final countdown e Carrie.
Quell’anno in classe avevo formato un trio di amiche con due compagne che si
chiamavano entrambe Barbara. Le due Barbare impazzirono per due membri del
gruppo, il cantante Joey Tempest, e il batterista di cui non credo di avere mai
saputo il nome, a tal punto che si firmavano con i cognomi dei due, quindi
erano Barbara Tempest e Barbara non mi ricordo.
Io
volli andare contro corrente anche questa volta, anche perché gli Europe non mi
piacevano più di tanto e in questa battaglia, schierai un altro gruppo che
veniva dall’Europa settentrionale, il cui primo singolo Take on me divenne un successo internazionale, grazie anche al video
che lo accompagnava, girato come se fosse un cartone animato. Certo anche gli
A-ha erano dei gran figaccioni, specie il cantante Morten Harket, ma a me piaceva
davvero la loro musica, tra cui Huntinghigh and low, I’ve been losing you,
Cry Wolf , tanto che andai ad un loro
concerto al palazzetto dello sport a Firenze, credo nel 1988.
Ma in
quel periodo la mia vita prese una piega diversa e i figaccioni non mi
bastavano più. La svolta avvenne un giorno nel 1987, quando sfogliando Tutto, una delle più famose riviste
musicali dell’epoca, mi capitò davanti agli occhi la foto del cantante di un gruppo
pop inglese a me sconosciuto, tale Paul Weller, leader del gruppo The Style Council, un
uomo che apparentemente non rientrava nei canoni di bellezza a cui avevo
aderito fino ad allora, magro, diafano, e con un ciuffo di capelli ritti, ma da
cui restai improvvisamente affascinata, tanto da non riuscire a staccare gli
occhi dalla foto. Incuriosita, comprai anche l’album The Cost of Loving, scoprendo che anche la musica prodotta dagli
Style Council, pur differenziandosi moltissimo da ciò che avevo ascoltato fino allora,
mi piaceva moltissimo.
Naturalmente
le due Barbare ebbero da ridire, come ci si poteva innamorare di uno così
brutto, come tra l’altro se il batterista degli Europe con il suo muso a
rinoceronte fosse bello, ma io andai avanti per la mia strada, anche perché mi
resi conto che i ragazzi in classe catalogarono questo mio atteggiamento come
volontà di staccarmi dagli stereotipi femminili e smisero di apporre scritte
offensive sui miei gusti musicali nelle pagine del mio diario scolastico.
Il
mio amore non corrisposto per Paul Weller andò avanti, anche se il gruppo si
sciolse l’anno successivo. Ci fu anche un dramma in famiglia legato a questa
mia passione, quando feci di tutto per andare al concerto che il gruppo tenne a
Firenze il 6 maggio del 1988 (data che non scorderò mai), ma i miei non ne
vollero sapere. Mi rimase l’unica consolazione che quella notte Paul ed io
fossimo riusciti a vedere lo stesso cielo pieno di stelle.
Dopo
quell’esperienza cominciai a prendere coscienza che il mio mito fosse veramente
irraggiungibile, e mi buttai su qualcosa di nostrano, Luca Barbarossa, un
giovane cantautore romano che avevo già apprezzato per testi e musica di
canzoni come Roma spogliata, Colore, Via Margutta e Come dentro unfilm ma che mi conquistò definitivamente nel 1988 con L’amore Rubato, una canzone che parlava apertamente di una violenza
sessuale, ma il cui testo, allo stesso tempo crudo e delicato, non sconvolse totalmente la mia sensibilità di
ragazza inesperta di 17 anni, e colsi
per fortuna solo l’aspetto romantico che riguardava i sogni che la protagonista
aveva visto infranti in un attimo.
E
insomma impazzii completamente per questo ragazzo semplice con una voce non
eccezionale ma che riusciva ad incantarmi con le sue parole e la sua musica. Le
due Barbare intervennero anche a questo giro, commentando che Barbarossa aveva
i denti a coniglio, cosa che era vera, ma che a me come al solito non interessava,
anzi, a queste critiche mi piaceva ribadire sempre che la perfezione era una
caratteristica degli Dei e che Luca lo era quasi.
Caro
Lettore,
involontariamente all’inizio del post ti ho detto una bugia. In
effetti, con il senno di poi, alla famosa domanda avrei potuto rispondere con
un nome e cognome, quello di un cantautore italiano, un ragazzo riccioluto, con una voce nasale molto
riconoscibile, colui il cui nome è amore e il cognome amaro, che dal suo esordio nei primi anni ottanta ad oggi ha venduto miliardi
di dischi in tutto il mondo, diventando uno dei cantanti italiani più famosi
all’estero. Un ragazzo che ho seguito fin dagli esordi, ma che non è finito
nella lista di cui finora ti ho parlato perché non l’ho mai visto come un mito
irraggiungibile o da sposare, nonostante fosse oggetto di fanatismo da parte di
scalpitanti ragazzine innamorate, ma come un fratello maggiore, che nelle sue
canzoni aveva sempre le parole giuste al momento giusto, per confortarti o
rallegrarti a seconda di ciò che stavi vivendo. Da adulta invece mi sono
accorta che questo ragazzo mi piaceva anche fisicamente, altro che fratello
maggiore, e che adoravo vederlo muoversi sul palco con il suo culo a sposa.
Un
ragazzo insomma, che è cresciuto insieme alla nostra generazione, di cui ha
cantato gioie e dolori e che recentemente ha compiuto cinquanta anni, traguardo che non ha lasciato indifferente la generazione che ha cominciato a seguirlo alle medie e che ha preso coscienza, se ce ne fosse stato bisogno, che il tempo passa, eccome se passa e il grigio (dei capelli) avanza inesorabile!
E
dunque, anche se in ritardo, Buon Compleanno Eros!
A
presto
Nel+cistail-
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